Ottobre è il mese dedicato alla consapevolezza sull’ADHD, il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività.
Un’occasione preziosa per fermarci a riflettere, conoscere e comprendere meglio quei bambini che, ogni giorno, ci insegnano che esistono tanti modi diversi di pensare, muoversi e vivere il mondo.
Che cos’è l’ADHD?
L’ADHD è un disturbo del neurosviluppo che riguarda il funzionamento del cervello, in particolare le aree che regolano attenzione, autocontrollo e comportamento.
Si manifesta attraverso tre principali dimensioni:
- Iperattività: il bambino è sempre in movimento, fatica a stare fermo, si annoia facilmente e cerca costantemente stimoli.
- Impulsività: reagisce in modo immediato, senza riflettere, spesso con intensità e difficoltà a controllare le emozioni.
- Disattenzione: fatica a mantenere la concentrazione, tende a distrarsi facilmente e incontra difficoltà nel portare a termine compiti o attività.
⚠️ Attenzione!
Tutti i bambini possono essere vivaci, distratti o disorganizzati — ma non tutti hanno un ADHD.
Per poter parlare di disturbo, è necessario che vi sia una compromissione funzionale, ovvero difficoltà significative che incidono sulla vita quotidiana, scolastica o sociale del bambino.
Quali sono le cause dell’ADHD?
L’ADHD è un disturbo neurobiologico complesso e non esiste una causa unica che lo determini.
Le ricerche scientifiche evidenziano un’origine multifattoriale, in cui fattori genetici, biologici e ambientali interagiscono tra loro.
Studi genetici hanno dimostrato che l’ADHD presenta una componente ereditaria importante: in circa il 60% dei casi, un bambino con ADHD ha un familiare che manifesta o ha manifestato la stessa condizione.
Tuttavia, non è stato individuato un “gene dell’ADHD” specifico: in realtà sono coinvolte alterazioni di diversi geni che influenzano il funzionamento dei neurotrasmettitori.
(Non mi soffermo su aspetti clinici e specifici: se vuoi approfondire, ti consiglio alcuni testi di riferimento nella sezione dedicata su Amazon.)
ADHD e comorbidità
L’ADHD raramente si presenta in modo isolato.
Spesso si accompagna ad altri disturbi del neurosviluppo o dell’apprendimento, come:
- Disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disortografia, discalculia…);
- Disturbi del linguaggio;
- Disturbi della coordinazione motoria;
- Disturbi d’ansia o dell’umore...
Questa coesistenza, definita comorbidità, può rendere più complesso il quadro clinico e influire sulla quotidianità del bambino.
Per questo motivo è importante che la valutazione diagnostica sia accurata e multidisciplinare, coinvolgendo figure diverse — in particolare psicologi e neuropsichiatri infantili, professionisti abilitati alla diagnosi — insieme ad altre figure di supporto come logopedisti, psicoterapeuti, educatori e tutor dell’apprendimento.
Riconoscere la presenza di comorbidità non serve a “moltiplicare le etichette”, ma a capire meglio il bambino nella sua globalità, così da poter intervenire in modo mirato e rispettoso dei suoi bisogni reali.
Avere un ADHD non significa essere ADHD
È importante ricordare che avere un disturbo non coincide con essere un disturbo.
Un bambino “ha” l’ADHD, ma non “è” l’ADHD.
La sua identità, la sua sensibilità, la sua intelligenza e la sua unicità vanno ben oltre la diagnosi.
L’ADHD non è qualcosa di statico: evolve con il bambino, cresce con lui.
Il bambino iperattivo può diventare un adolescente impulsivo o un adulto con difficoltà di concentrazione, ma con un adeguato supporto educativo e terapeutico può imparare a gestire le proprie energie, sviluppare strategie e trasformare la propria vivacità in risorsa.
Come educatori, insegnanti e genitori, siamo chiamati a guardare oltre i comportamenti, per cogliere i bisogni che li generano.
Spesso, dietro un gesto impulsivo o una distrazione, c’è un bambino che fatica a gestire il suo mondo interiore, non un bambino “difficile”.
Un ambiente educativo accogliente, strutturato e comprensivo può fare la differenza.
Quando l’adulto si pone come guida e non come giudice, quando riesce a leggere i segnali del bambino con empatia e competenza, allora la scuola diventa davvero un luogo di crescita e non di frustrazione.
La diagnosi non è un’etichetta, ma uno strumento di comprensione e di aiuto.
Riconoscere precocemente le difficoltà significa poter agire in modo tempestivo, prevenendo disagi emotivi e scolastici.
Come tutor DSA e BES e pedagogista ci tengo a lasciare un invito alla riflessione.
Riflettere sull’ADHD significa aprirsi a una visione più ampia dell’educazione, capace di accogliere la diversità come risorsa e non come limite.
È un invito a comprendere prima di giudicare,
a osservare prima di correggere,
a educare prima di etichettare.
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